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La morte di Lady Diana e del compagno Dodi Al Fayed, assieme all’ autista Henri Paul, nel tunnel dell’ Alma a Parigi fa parte dei pochi avvenimenti che – per motivi diversi – sono rimasti nella memoria. Molti si ricordano dove erano e che cosa facevano il 31 agosto 1997, quasi vent’ anni fa, quando hanno appreso la notizia. Eventi simili scatenano una quantità di teorie di complotto, e nel caso di Lady Di e Dodi fu il padre di quest’ ultimo, il miliardario egiziano Mohamed Al Fayed, a esserne il motore principale.
Oltre alla tesi iniziale di una corsa a tutta velocità per seminare i paparazzi, che in effetti vennero fermati e trattenuti dalla polizia francese per ore, Al Fayed ha sempre sostenuto che non si era trattato di un banale incidente stradale, ma che il figlio gli era stato strappato da una cospirazione della famiglia reale attuata con la collaborazione dei servizi segreti britannici, in particolare per volere del principe Carlo che pure aveva divorziato da Diana un anno prima.
Mohamed Al Fayed ha evocato la possibilità che Diana fosse incinta di Dodi, sostenendo anche che la coppia aveva deciso di annunciare il fidanzamento ufficiale il primo settembre, il giorno dopo l’ imprevedibile tragedia
Una nuova inchiesta viene però a contraddire questi scenari da agenti segreti, offrendo dettagli in più su una delle piste seguite sin dall’ inizio: l’ MI6 non c’ entra, l’ incidente mortale fu provocato da una serie di cause. L’ alta velocità dell’ auto, i bicchieri di troppo bevuti da Henri Paul, e soprattutto le pessime condizioni meccaniche della Mercedes messa a disposizione dal Ritz di Parigi, l’ albergo di proprietà proprio di Mohamed Al Fayed.
Tre giornalisti del settimanale Paris Match – Pascal Rostain, Bruno Mouron e Jean-Michel Caradech – hanno scritto il libro Qui a tué Lady Di? , «Chi ha ucciso Lady Di?», che esce oggi in Francia edito da Grasset, dopo avere studiato le 8.000 pagine degli atti dell’ inchiesta e avere ritrovato alcune fonti fondamentali. In particolare un autista del Ritz, Karim, secondo il quale l’ auto sulla quale è morta Diana Spencer «era un relitto che non avrebbe mai dovuto tornare su strada».
Gli attimi precedenti l’ incidente sono noti, ricostruiti grazie a uno dei primi filmati a risonanza planetaria delle oggi ubique videocamere di sorveglianza. Si vedono Diana e Dodi nella hall del Ritz, che stanno per uscire e aspettano l’ arrivo della vettura di lusso. È una Mercedes 280 classe S.
Due anni e mezzo prima quell’ auto era stata rubata da carcerati in licenza che se ne sono serviti per cercare di tornare in prigione in tempo alla scadenza del permesso. Ma hanno provocato uno scontro talmente violento da distruggerla quasi completamente.
«L’ assicurazione mi ha rimborsato il valore dell’ auto come se fosse nuova, considerando che era ormai un veicolo distrutto, impossibile da riparare – dice Eric Bouquet, primo proprietario della Mercedes -. Io avrei voluto riprenderla e farla riparare ma mi hanno spiegato che era impossibile, troppo pericoloso».
Quell’ auto era destinata alla demolizione ma è stata invece recuperata da un meccanico con pochi scrupoli che l’ ha rimessa su strada, resa presentabile, e rivenduta a basso prezzo a una società di noleggio di vetture di lusso che aveva tra i suoi clienti il Ritz di Mohamed Al Fayed.
«Me la ricordo la Mercedes, non era affidabile – dice Karim -, avevo paura a superare una certa velocità perché perdeva la tenuta di strada. L’ ho detto molte volte al mio capo, era imprudente usarla». Secondo Pascal Rostain, co-autore dell’ inchiesta, Lady Diana è morta non certo per un complotto dei servizi britannici ma per una serie di concause.
«L’ autista Henri Paul aveva un tasso di 1,82 g/l di alcol nel sangue e non ha avuto il riflesso giusto quando si è trattato di schivare ad alta velocità la Uno bianca che procedeva lentamente nel tunnel. Ma soprattutto la Mercedes non era in grado di viaggiare».